giovedì 29 gennaio 2009

Heaven Knows I'm Miserable Now

E' giunto l'ennesimo periodo da cerca-lavoro. Dopo tutti questi anni ho acquisito un'esperienza non indifferente in queste cose e se fosse richiesto sarei perfetto per un profilo del tipo “CERCASI MANDA CV SENIOR”. Così giovane, così senior, sarei perfetto. Ma probabilmente anche lì sarei fregato dall'inglese fluente che ormai tutti danno per scontato. Il bello è che poi chi lo richiede sa al massimo balbettarlo, quindi visto che la fluidità è un concetto relativo, bhè gentile azienda, io sono un senior di fluidità linguistica. Senti questo scioglilingua gallese, cara azienda: “diadainconsupertrafra”.
“Non lo conoscevo”, risponde il tipo delle risorse umane.
E io: “famossisimo in Galles!”
Oppure nella sezione “conoscenza linguistica” potrei metterci come nota un “ME LA CAVO A GESTI ----> OTTIMO”. Un senior gestuale.

A parte le divagazioni, oggi ho finalmente ricevuto una chiamata.
“Pronto!”, dico io con voce ancora addormentata.
“Papa?”, dice la voce.
“Sì!?”, dico.
“Lei ha mandato un curriculum, vero?”, chiede.
“Ehmm, sì!”, rispondo.
“Salve Papa, potrebbe richiamarmi perchè sto per terminare il credito?”, chiede.
“Si figuri!”. E riattacca.
Ne ho sentite davvero tante da manda cv senior quale sono, ma un datore di lavoro senza credito telefonico mai.
“Eccoci!”, dico.
“Bene, lei non è a Lecce, ma torna?”, chiede.
“Per ora no”, dico.
“E quando?”, chiede.
“Per ora no, non lo so quando”, rispondo.
“Bene, lei ha esperienze”, dice.
“Bhè sì, quale sarebbe il lav-”. E mi interrompe. Da lì una serie di parole disconnesse.
“Noi progetto sviluppo, di aiutare i giovani, anche con aziende di progetti editoriali e conosco anche, ma lei vorrebbe magari, le faccio che la richiamo, perchè puglianews è una rivista nelle edicole”, farfuglia.
“Può mandarmi una mail..”, dico.
“E' questa scritta in blu?”, chiede, riferendosi ignorantemente al link sul mio curriculum.
“Sì, mi scriva”, dico.
“Nooooo, non ci capisco di mail, poi la richiamo, buona giornata”, dice.
“Buona giornata”.

Il progetto sottosviluppo mi ha selezionato, quindi. E come mi sento dire da anni, è pur sempre un punto di partenza. Il settimo per la precisione.
Io rimango con i piedi nelle ciabatte e non mi faccio illusioni. E mentre aspetto che mi arrivi un colloquio con l'addebito di chiamata, ascolto
Heaven Knows I'm Miserable Now degli Smiths. Un senior pezzo!

[...]
I was looking for a job, and then I found a job
And heaven knows I'm miserable now
[...]


mercoledì 28 gennaio 2009

Heroes

A Bologna si è svolto il Netmage, una tre giorni di eventi dedicati all'avanguardia sonora e alle sperimentazioni elettroniche. Il tutto ha avuto luogo all'interno di Palazzo Re Enzo, costruzione medievale situata nella piazza principale della città. Una location meravigliosa che ha reso degne di nota anche quelle esibizioni che sulla carta al sottoscritto interessavano di meno.
Vagando per le stanze giganti decorate di affreschi, mi sono chiesto quali fossero i motivi per cui certe città riescono a fare della cultura “non convenzionale” un'opportunità di guadagno mentre altre, invece, rimangono ferme agli spettacoli per famiglie e alle serate per teenager attempati. E non si tratta certo di regalare niente a nessuno, dato che il corrispettivo in moneta andava dai 10 ai 15 euri del sabato sera. Ma nonostante il prezzo la corte brulicava di gente dalle facce soddisfatte e fuori c'erano altrettante persone che spingevano per entrare.
Quello che mi ha stupito è stata proprio la disponibilità della città a concedere uno dei suoi tesori a un'orda di gente impazzita, che però ha ricambiato il favore con civiltà e rispetto. E questo è forse il punto della questione. La maggior parte delle amministrazioni vedono noi povera plebaglia come elemento di disordine da tenere a bada e hanno instaurato un atteggiamento di distanza che ci ha portati, a seconda dei casi, ad avere poco riguardo della cosa pubblica. Detto così è troppo semplicistico, ma non è un caso che in certe realtà la cultura ha mantenuto sostanzialmente la funzione che aveva al tempo dei romani, quella di panem et circenses. Credo che una città come Lecce, la mia città, ad esempio, sia vicina a quel concetto arcaico di intrattenimento pubblico. Mi si dirà che è semplice sputare merda da lontano e che ha poco senso prendere come paragone Bologna o altre città del settentrione più ricche o che ne so. Va bene, voglio fare l'americano in vacanza, ma il confronto è proprio quello che servirebbe a noi tutti per portare aria nuova e svecchiare una situazione che se non fosse per quei pochi illuminati sarebbe devastante (vedi CoolClub). E poi i soldi non c'entrano niente, anzi sarebbe un modo per farne a palate.
Sarò ripetitivo e scontato, ma questo è un appello a chi ci tiene che il Salento non diventi solo pizzica e tradizioni, ma anche un luogo aperto ad altro. Ce lo meritiamo e il momento è propizio. E sarebbe ora che iniziassimo a guardare oltre il nostro naso per non cadere vittime di certe frasi stupide del tipo “io che ci posso fare?”. Puoi fare, puoi fare!


domenica 25 gennaio 2009

Move On Up

Brasi ed io ultimamente ci stiamo fissando troppo con Bob Dylan. Passiamo le giornate a cercare testi e accordi delle sue canzoni per poi non completare neanche un pezzo. La realtà è che siamo scarsi, ma tanto non ci sente nessuno.
Ho scoperto che Dylan era uno che a conoscerlo l'avrei odiato dal primo momento, ma così da lontano lo adoro e lo invidio. Una merda di snob che faceva finta di non prendere niente sul serio, furbo più del diavolo. Chi ha guardato No Direction Home di Scorsese o il film I'm not there sa di cosa parlo.
Insomma, i fine settimana qui li passiamo così, discutendo di quello che erano i nostri miti e di quello che avremmo potuto essere noi, fra un disco messo in download e tazze e tazze di cioccolata calda. Detto in questo modo sembra che la sfiga ci avvolga, e forse in parte è vero, ma stiamo bene e nessuno ci rompe.
Tra l'altro Bologna di domenica è un cimitero di piscio e bottiglie di birra, quindi ce ne stiamo fra queste stanze mentre nel giradischi passa Curtis Mayfield con Move On Up. Bella seria!

giovedì 22 gennaio 2009

(You Gotta) Fight For Your Right (To Party)

Tutti parlano dell’insediamento di Obama.
Non c’è dubbio che sia stata una giornata storica, un punto di svolta della contemporaneità. Ma ciò che ora sembra tale, la svolta intendo, accadrà veramente? Dopotutto il primo presidente di colore degli Stati Uniti rimane semplicemente un uomo. E non potremo certo avere nel breve periodo tutto quello che si è azzardato a promettere. Tutto questo entusiasmo potrebbe, perciò, essere pericoloso e rischia di provocare un effetto contrario di dimensioni sconsiderate. Tra l’altro questa valanga precoce di giudizi positivi ha preso forma grazie ed esclusivamente a delle parole uscite in una campagna elettorale, nella quale l’Obama a cui tutti inneggiano si è dimostrato più che altro un genio del marketing politico.
La cerimonia più costosa della storia è giunta, così, a conferma che la costruzione di una grande immagine, per ora, è l’unica opera rilevante del neo eletto.
E' certo che un cambiamento c'è stato, ma più che "culturale" io lo chiamerei "di sistema". Per questo non credo neanche all'ipotesi che pone le nuove generazioni al centro della trasformazione; piuttosto guardo alla storia e vedo il ricorso di uno stravolgimento economico che ha causato la rottura di un ingranaggio ormai arruginito. Dovremmo lasciar quindi perdere una volta per tutte questa fissa della razza e del colore per pensare allo zio Joe come a una bandiera a stelle e strisce che sventola sul tetto del mondo e nient'altro.
Ecce homo! Ed ecce Beastie Boys!


domenica 18 gennaio 2009

Whole Wide World

Negli ultimi tempi mi ritornano vecchi ricordi legati ai tempi delle medie. Credo che tutto sia cominciato da quando uno dei miei compagni mi ha intercettato su Facebook e ha cominciato ad assillarmi con l’idea assurda di una reunion di classe. Ho così iniziato a rovistare fra le vecchie cartelle della mia mente, cercando di fare un defrag di quei pezzi sparsi fra persone dimenticate e situazioni cestinate.
Proprio in quegli anni nasceva in me la coscienza critica della ragion d’essere: il concetto di sfiga, la separazione tra l’in e l’out, la differenza tra i vincenti e i losers.
Io appartenevo ai losers, non c’è dubbio. Ero il classico bravo ragazzo invisibile, coi primi crateri sulla fronte, un apparecchio ai denti e un paio di mocassini color cacca. Un border line.
Poi c’erano le feste, quelle maledette feste. Me ne stavo lì, a guardare gli altri limonare, con una big bubble fra i denti e un bicchiere di aranciata in mano.
Ero innamorato di una tipa con le tette sviluppate. Era una bella figa, per quanto potesse esserlo una che all’epoca aveva 12 anni. E mi piaceva perché mi considerava più degli altri. Durante uno di quei party da purgatorio, mi chiese di ballare un lento. Mi venne un nodo alla gola e non spiaccicai parola fino a quando mi chiese di uscire fuori con lei. Pensai che era fatta, che sarebbe successo quella sera e che mi avrebbe baciato con la lingua. Ci sedemmo e guardandomi negli occhi mi disse: “Mi piace Marco, secondo te sbaglio se mi metto con lui?”. Era la conferma: ufficialmente sfigato. E non era questione di pazienza, come continuavo a ripetermi. Ero io.
Questo mio vecchio compagno ora mi vuole costringere a ricordare insieme a tutti gli altri. No, grazie. Preferisco starmene in camera fra le vecchie foto e quei diari pieni di firme e frasi stupide. E mentre ascolto Whole Wide World di Wreckless Eric sigillo tutto per bene.


mercoledì 14 gennaio 2009

Magic Moments

Stamattina non ce l'ho proprio fatta ad alzare le lenzuola. In realtà l'avevo già deciso ieri sera poco prima di mettermi a letto che non ce l'avrei fatta e così è stato. Il proposito era quello che se fosse successo mi sarei comunque svegliato presto per prendermi un po' di tempo libero. Quello che ho fatto invece lo lascio immaginare.
Un tempo avevo la cara vecchia abitudine di regolare progressivamente la sveglia un quarto d'ora prima, col risultato di ottenere progressivamente un quarto d'ora in più. Mi spiego meglio. Per me non è importante quanto presto apro gli occhi, ma quanto tempo posso rubare dal momento in cui li schiudo per la prima volta. Quindi prima una sveglia suona, più tempo ho per rotolare le chiappe sotto il caldo del piumone. Ma dopo Natale tutto è cambiato. I miei, probabilmente conoscendo i miei ritmi malsani, hanno pensato di regalrmi una sorta di cellulare “professionale”, mettendo fine ai miei giochi rotolanti. Su quest'aggeggio diabolico c'è addirittura la possibilità di regolare la sveglia sui soli giorni lavorativi, giusto per capire quant'è job oriented.
Ma a differenza della mia vecchia cabina le cui campane potevano essere rimandate all'infinito con intervalli di un quarto d'ora, col cellulare-che-si-prende-cura-del-tuo-datore-di-lavoro il tintinnio si ripete ogni cinque minuti e può essere “posposto” solo per mezz'ora, dopo di che l'unica opzione è “termina”, tradotto: “mo so' cazzi!”.
Ora mi godo il momento col mio bel 45 giri di
Magic Moments del mitico Perry Como. Perchè stamattina solo una piccola battaglia è stata vinta, ma la guerra fino alla pensione è ancora lunga.


domenica 11 gennaio 2009

Like A Rolling Stone

C'è un gran parlare di Fabrizio De Andrè al decennale della sua morte. Tutti lo descrivono come una sorta di eroe nazionale, un personaggio chiave del XX secolo italiano da ascrivere al registro dei grandi in senso assoluto.
Premetto che non conosco bene l'opera di De Andrè, non ho mai avuto un suo disco e l'ho sempre ascoltato di passaggio. E perciò non mi sono mai permesso di dare giudizi di merito sulla sua carriera musicale, anche se non mi esalta per niente. Ma a parte questo, c'è una cosa che proprio non sopporto di tutto questo vociare e sta nell'ipocrisia devastante con cui se ne parla.
Questa sera Fabio Fazio dedicherà una maratona televisiva al nostro cantautore, tessendone le lodi, citando i suoi testi “rivoluzionari”, parlando del poeta che fu e di quello che avrebbe potuto fare oggi se fosse ancora in vita. “Tutti si sentono vicini al messaggio di Fabrizio”, dirà Fazio, rivolgendo a Dori Ghezzi domande ossequiose in memoria del marito scomparso. Ma cos'ha, ad esempio, uno come Fazio di rivoluzionario? Cosa di non-borghese? E De Andrè non era quello che accusava i piccoli borghesi di mettersi a fabbricare bombe? Quindi di che cosa stiamo parlando? Di un eroe contemporaneo o di un morto che continua a portare soldi e “audience” a quelli che sono restati? Io dico che state parlando di un prodotto che vende, punto.
Per non parlare di quei sinistroidi odiosi che non perdono l'occasione per strumentalizzare uno che non ha mai voluto schierarsi né da una parte né dall'altra.
Quindi, tutti a fare serate commemorative: locali, band allestite per l'occasione, piazze. Tutti pronti a speculare e riempirsi la bocca di versi e frasi già fatte, quasi come se fossero loro a dirle per la prima volta. Tutti a dire che il messaggio di Fabrizio è attuale ora più che mai. Ma quale messaggio?
Negli anni '60 a Bob Dylan fu attribuito il ruolo di punto di riferimento del movimento giovanile americano, malgrado lui continuasse ad affermare che non gliene poteva fregar di meno. Successe poi che si scocciò di essere strumentalizzato e si mise a fare canzoni come Like A Rolling Stone, raccogliendo fischi e insulti ad ogni concerto.
Dylan probabilmente capì che qualcuno stava cercando di usare la sua musica per rinchiuderla entro confini stabiliti e oggettivi, togliendo spazio all'interpretazione soggettiva e personale di ognuno, funzione cardine della materia musicale e dell'arte in genere.
Dico solo che la stessa cosa sta accadendo con De Andrè oggi e non credo che lui ne sarebbe felice.


Questa è Like A Rolling Stone al primo concerto elettrico di Dylan con sottofondo di fischi finali:



Questo è Il Bombarolo di De Andrè:

sabato 10 gennaio 2009

Pork & Beans

Fare la spesa è il mio incubo ad occhi aperti ricorrente. Avessi almeno il supermercato sotto casa sarebbe diverso, ma tutte le volte devo spararmi quei 500 metri per fare un giro in quel palazzo di cartongesso per i poveri che chiamano hard discount. Poi oggi è sabato e le file alla hard cassa iniziano dal bancone degli hard formaggi. Arriverà il momento di pagare e come sempre non avrò il tempo di mettere tutte le cose nella hard busta. Farò un gran casino spargendo i centesimi per terra e accartocciando il resto frettolosamente perché dietro ci sarà quel tipo grosso che puzza di bettola e batte il piede nervosamente con un bottiglione di vino in mano e due birre da 45 cent.

Mi hanno detto che ora la spesa si può fare anche su internet: scegli tra le figure quello che ti piace di più e con soli 8 euro e 70 te la portano a casa. Otto euro e settanta!! Praticamente i soldi che spendo per campare quasi una settimana. Quindi non c’è scampo, vado all’hard discount. Cercherò di distrarmi con
Pork & Beans dei Weezer. Hard life!


mercoledì 7 gennaio 2009

White Winter Hymnal

Nevica a Bologna. Grosse scaglie di forfora d’angelo in questa città.
Le strade sono ricoperte di bianco e io sono costretto a camminare come uno zombie con una trombosi emorroidale, a gambe aperte e misurando ogni singolo passo. E questo perché la prima volta che vidi la neve non fu affatto divertente.
Molti di quelli che provengono da terre calde ricorderanno le loro prime giornate innevate come episodi indimenticabili, a giocare con gli amici o con la famiglia a fare foto da trofeo.
Io invece mi spaccai subito la testa e per due settimane dovetti tenerla fasciata con i capelli che puzzavano di topo putrefatto. Come tutte le mattine ero in ritardo e non tenni conto di quei fiocchi delicati sotto i miei piedi che al mio passaggio si tramutavano in ghiaccio malefico. Presi a correre e girato l’angolo scivolai e sbattei contro lo spigolo di una colonna. Sangue a catinelle e fine dei giochi. Addio palle e addio foto.
Tornai a casa con la faccia insanguinata e mia madre vedendomi credette che mi avessero sparato o chissà cosa. “Figghiuuuu miaaa!” gridò e per poco non mi svenne ai piedi. Poi mi portò dal dottore e quando tornammo non ci mise neanche un secondo e se ne andò pure lei a giocare a palle e a fare foto da trofeo, mentre io ormai fobico aspettavo che tornasse il sole a ripulire tutto.
Ora è diverso, ora l’adoro la neve, ma ci vado comunque cauto mentre ascolto
White Winter Hymnal dei Fleet Foxes.

[…] you would fall
and turn the white snow red as strawberries
in the summertime.

martedì 6 gennaio 2009

Agoraphobia

Durante le feste non riesco mai sfuggire alla morsa dei parenti.
Come ogni parente medio anche i miei si ammucchiano intorno ad un tavolo per ingozzarsi avidamente, facendo finta di essere una famiglia di quelle della Mulino Bianco.
Consuetudine vuole che dopo uno screening della mia faccia per capire se sono ingrassato o dimagrito, felice o stressato, qualcuno inizia a guardarmi fisso e dopo due minuti lancia la domanda: "salvatò, quindi tu che stai facendo adesso?". Quasi come dire: “non mi dire che fai ancora il parassita con la scusa dello studio!”.
Gli altri di conseguenza entrano nel gioco e rilanciano con varianti sarcastiche del tipo: "quindi mò vacanza?!" oppure "ti stai rilassando in questi giorni?".
E io da copione: “sto aspettando delle risposte”.
Parte così un brusio generale nel quale si distinguono risatine e brevi schiamazzi spezzati dal consueto e odioso "ti stai facendo grande ormai!".
Quell' "ormai" significa che per loro non ho più speranze ed è giunto anche per me il momento di sprofondare in una vita noiosa fatta di cazzi degli altri e feste in famiglia.
Con le dovute eccezioni, ogni parente medio pretende di conoscere la tua vita solo per il fatto di essere tale, quando invece tale rimane: un tale.

Per fortuna le feste sono finite e domani si ricomincia. Nel frattempo mi ascolto
Agoraphobia dei Deerhunter e mi ingozzo di Pan di Stelle.


domenica 4 gennaio 2009

Let’s Make The Stevens Cake!!!

Dopo dieci ore di viaggio con tappa a Bari sono arrivato nella mia strada.
Il mio paese a Natale mi accoglie sempre con le stesse luci del 1987, anno a cui risalgono i miei primi ricordi sotto l’albero.
Come ogni paese che si rispetti anche qui il tempo sembra non passare mai. Appena entrato in casa però ho subito notato che qualcosa era cambiato. Le pareti avevano un colore diverso e la disposizione degli oggetti era stata rivoluzionata. Nel salotto campeggiavano le foto dei miei genitori e di mia sorella, ma di me nessuna traccia.
Squagghiatone non è più qui, mi sono detto. Squagghiatone è ormai solo una voce al telefono e un personaggio con gli occhiali che per un mese all’anno si aggira per queste stanze.
Poi dalla cucina ho sentito il profumo del fuoco acceso e l’odore di mia madre sempre più vicino. Dalle spalle due braccia mi hanno stretto e una mano ha raccolto i miei capelli.
Sapevo cosa sarebbe seguito: “come ti trovo figghiu mia! Vai subito dal barbiere prima che passino ‘ste feste che’ ti voglio vedere sistemato!”. E infatti: “capellone!”. Ma per fortuna anche queste parole sono le stesse da anni ed è bello risentirle sfacciatamente uguali.

Le uniche cose che mi riguardano ora sono sparse tra i corridoi e risalgono alla mia prima comunione e alle mie lauree. Le mie foto hanno solo i capelli corti e la cravatta. Ma non m’importa perché l’importante è che per ora sono di nuovo qui, al caldo.

Tuma mi ha dato il suo nuovo disco e perciò voglio fargli omaggio e mettere
Let’s make the Stevens cake!!!. Bella fratè!