lunedì 6 aprile 2009

Oh My God

Potrebbe sembrare che un adolescente in pieno sviluppo ormonale abbia sfregato la sua testa forforosa sui miei vestiti. Invece no: è solo l’ennesimo fazzoletto di carta nella lavatrice. I miei slip neri sono stramaledettamente meno neri e le mie calze meno nere sono schifosamente meno nere di prima. Un meno meno nero slavato con scaglie di kleenex. Porco kleenex!
Uno sbaglio irrecuperabile, quantomeno nel breve periodo. E’ meglio rassegnarsi perciò, perché non esiste nessun metodo per annullare quell’effetto leopardato. Potrei togliere i pezzi più grossi, è vero, ma niente può sconfiggere la miriade di micropelucchi spappolati. Entrano a far parte delle fibre del tessuto, quindi neanche Avacomelava può. Niente può. Quindi, rassegnamoci, perchè sono un disastro con questo tipo di cose.
Per esempio non riesco mai a capire il perché di quella puzza che chiamano “di umido”. Insomma sì, quella puzzetta imbarazzante di pulito inumidito che scopri quando sei già sull’autobus che ti porta a scuola o al lavoro o al primo appuntamento. Almeno io me ne accorgo sempre troppo tardi. Comunque non ne ho mai capito la vera causa. Dicono che è colpa mia che non lascio asciugar bene. Impossibile, dico io. Dimentico sempre i vestiti sullo stendino per settimane, quindi no; asciugare, asciugano bene. Dipende più dal tempo forse. Tramontana, scirocco, ponente, libeccio. Ecco sì, forse è colpa del libeccio. Ma mi dicono di no.
C’è però chi è più rimbambito di me. Una volta questo qualcuno mise un casco in lavatrice con la centrifuga, riducendo il cestello a materia di studio per idraulici con la sindrome di Sherlock Holmes. Poi venne fuori quello che aveva fatto e quei poveri idraulici persero quell’unica ragione di vita.
Proprio un buco nell’acqua.


venerdì 27 marzo 2009

Young Folks

C’è qualcosa che non torna.
L’oggetto della questione è il concerto di Peter, Bjorn and John.
Direttamente dalle pop-pe della madre Svezia, arrivavano in Italia per questa data unica all’Estragon di Bologna. Un’unicità talmente unica che da mesi i giornali la sottolineavano a caratteri cubitali, incastonata nelle caselle di testo colorate, più grande del nome della stessa band. UNICA! UNICA! UNICA! UNICA!.
Consacrati e noti alle masse per un UNICO pezzo, “Young Folks”, sono atterrati in esclusiva in questa ridente città romagnola ché del nuovo disco del 2008 non gliene importava niente a nessuno. Ma si sa, tira più il fischio di un singolo, che un carro di dischi e quindi viva i tre allegri ragazzi svedesi, purchè nel live suonino quel motivetto appiccicoso.
Segue che io avevo due biglietti vinti in un concorso per decerebrati, dove premiavano il fan più accanito, il quale, dopo aver raccontato la sua storia personale con la band, doveva risultare talmente motivato che tò! eccoti due bigliettoni da 16 euro. Nonostante io non appartenessi a nessuna delle su citate categorie, probabilmente hanno deciso di devolvere il premio all’unico che avesse scritto tre righe normali, piuttosto che “è il mio compleanno!” o “arriva il mio ragazzo” o “mi piacciono perché sono UNICI!” (appunto). E siccome, non lo nascondo, quella melodia consacrante mi ha accompagnato durante un bel periodo, in ricordo di quella vita spensierata c’ho provato e c’ho riuscito. Avrei preferito andarci con una bella donzella, ma non ho avuto nemmeno il tempo di pensarci che Brasi aveva già rivendicato i suoi diritti di personal cuoco.
Perciò, “Brasi è ora!”.
Le 23 e ancora a casa. Ma così è Brasi: prendere o prendere, perché se no non si mangia.

L’Estragon è un capannone fuori città, mal collegato, senza l’ombra di un notturno e con un solo autobus che “chiude” alle 00.22 e lascia a circa 300 metri dall’entrata, su una tangenziale che definire desolante è dir poco. Entriamo che sono le 23 e 35. Il posto è enorme e ci sono al massimo 200 persone. Sembra una festa di compleanno con pretese di onnipotenza mal riuscita. Sentiamo subito un certo imbarazzo e percepiamo nella band un atteggiamento annoiato. L’acustica fa schifo e i suoni sono chiusi, quasi da concerto comunale due spaghi e ‘na sarsiccia.
Poi arriva il singolone e tutti improvvisamente si rianimano.
Poi di nuovo inerzia.
Poi fine.


Insomma, che senso ha organizzare un concerto di una band discretamente conosciuta, seppur in unica data, in un luogo così grande e fuori città? Nessuno. La band si rompe perché c’è poca gente, la gente si strarompe perché c’è poca gente e la band si rompe, e l'agente che ha organizzato l'evento viene licenziato perchè tutti si sono rotti.

Qualcosa non torna, dicevo, e questa volta sono proprio io.
Addio Estragon!


domenica 15 marzo 2009

Our Nature

Il Colosseo, si dice, è il monumento più visitato del mondo.
Io al Colosseo ci ho vissuto per più di due anni e, anche se non conosco il restante 99% dei monumenti del globo, posso dire che non ho mai visto posto così tanto incasinato.
Oggi leggo un bellissimo pezzo sul sito di Repubblica che denuncia le carenze strutturali di tale patrimonio. Mi consola sapere che ogni tanto qualcuno sputa merda su queste assurdità, che purtroppo dimostrano quanto gli stereotipi dell'Italia all'estero abbiano un serio fondamento. Per anni ho provato una rabbia sconsiderata verso quel caos balordo e cafone a cui assistevo ogni giorno. Impotente risalivo via dei Fori Imperiali con un “vaffanculo” stretto fra i denti.
Manca tuttavia un paricolare nell'articolo suddetto, una questione che non viene mai presa in considerazione. Oltre alle file alla cassa e ai percorsi tortuosi e a rischio di morte, infatti, il simbolo dell'Italia è praticamente chiuso a disabili e anziani o a chiunque abbia problemi cardiaci particolari. Nessuno dice mai che, nonostante a Roma stiano costruendo due nuove linee di metropolitana, nonostante la fermata al Colosseo sia un covo di tutti i tipi di ristoratori e negozianti strozzini, nonostante tutto, mancano clamorosamente sia una cazzo di scala mobile che un minchia di ascensore. Se qualcuno sa di cosa parlo, allora saprà pure che almeno 50 scalini separano quel tugurio dall'aria aperta. Avrò risalito quelle scale migliaia di volte e posso assicurare che spesso anche un non fumatore come me arriva alla meta con serie difficoltà respiratorie. E anche se non conosco il restante 99% delle fermate di metropolitana del globo, posso dire di non aver mai visto una simile barriera architettonica. E tutto questo nel luogo più remunerativo del turismo con marchio Italia.
Allora arrivo a chiedermi se è del tutto pazza l'idea di vendere parti del patrimonio artistico italiano a privati. Ok, è pazza, senza dubbio, ma un popolo che limita l'accesso alle proprie bellezze forse non è nemmeno degno di custodirle.


domenica 8 marzo 2009

A-Punk

Pensa cosa significa iniziare a lavorare per uno che per più di un mese non ha mai guardato l'orologio.
Significa il panico.
Significa costruire un piano d'azione dettagliato, con la mappa degli spostamenti fin da quando tiri i piedi fuori dal letto. Significa che siccome è il primo giorno devi fingere di essere un tipo serio. Significa che ti fai prestare un lato femminile dalla tua coinquilina e svuoti l'armadio in cerca di qualcosa che non sia sgualcita e abbia un aspetto meno cazzone del solito. Significa che hai solo una polo sbiadita e un maglioncino accartocciato dai tempi della cresima. Quindi significa che non ti rimane che spacciare quel colore sciacquato come alla moda e originale e torturare quel pezzo di lana grigio sotto il peso dei tuoi dizionari sperando acquisti un effetto-stirato.
Tra l'altro lo sai che sei un ritardatario cronico e ti sei ripetuto mille volte che è meglio arrivare in anticipo piuttosto che entrare in punta di piedi in ufficio per non farsi sgamare e poi farsi sgamare regolarmente e abbassare lo sguardo mortificato. Perciò significa che ti sei convinto che la scena del ritardo l'hai vista troppe volte e troppe volte i tuoi timpani si sono contratti a ritmo di cazziatone.
Allora significa che questa volta fai sul serio perché hai deciso di scaricare gli orari del bus, cerchiando in rosso quelli più sicuri e in blu quelli rischiosi. Tuttavia significa anche che grazie alla tua esperienza da primo giorno hai acquisito una tempistica perfetta e sai che impiegherai:
  • 15 minuti per aprire gli occhi
  • 5 minuti per smettere di fissare gli angoli del soffitto
  • 1 minuto per sbuffare
  • 20 secondi per cercare le ciabatte
  • 1 minuto per tirar fuori i piedi dalle coperte
  • 2 minuti per alzarti dal letto
  • 5 secondi per arrivare in cucina
  • 30 minuti per fare colazione
  • 10 minuti fischiettando in attesa di uno stimolo intestinale
  • 15 minuti di seduta di riflessione
  • 20 minuti fra bidè, denti, ascelle, faccia e, se proprio sei ispirato, piedi
  • 2 minuti per dare una sistemata ai tuoi capelli ricci acconciati con una cresta alla Enrico Ruggeri anni d'oro
  • 2 minuti per decidere se togliere i pantaloni del pigiama e perdere la sensibilità delle gambe causa freddo oppure indossare direttamente i jeans e godere di quella serra in pile
  • 5 minuti per vestirsi
  • 5 minuti per preparare il pranzo
  • 1 minuto per riempire la bottiglietta d'acqua
  • 7 minuti per arrivare alla fermata dell'autobus
per un totale di 2 ore, 1 minuto e 25 secondi.
Questo significa che imposti la sveglia proprio 2 ore, 1 minuto e 25 secondi prima dell'orario d'entrata e spegni la luce ancora agitato, ma rassicurato dalla tua strategia perfetta. Nonostante tutto però significa che dormi abbastanza di merda, sebbene tu abbia quell’adrenalina necessaria per reagire agli acciacchi di una notte in bianco.
Significa che poi il giorno arriva e va tutto perfettamente come avevi previsto. E significa che quel giorno sei lì che sembri un figurino, con quel colletto sbiadito in bella mostra e con un basso rilievo del tuo maglioncino da scolaretto che riprende il titolo di quel dizionario salvifico.
Significa che va tutto alla grande perché arrivi in anticipo e suoni.
Suoni.
Suoni ancora e guardi l'orologio.
Potrebbe significare che sei troppo in anticipo.
E quindi significa che aspetti.
Aspetti.
E quando ti accorgi che è domenica significa che non sei fatto per lavorare.